Le Donne sono Cambiate, la Tv Pubblica ne prenda Atto

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È un j’accuse grosso come un macigno quello mosso dal deputato Pd, Michele Anzaldi, membro della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai: “Gli uffici stampa della tv pubblica preferiscono colleghe carine e giovani” al posto delle persone che materialmente hanno seguito l’iter di una legge o di altro provvedimento. “Bellezza e basta”, afferma il parlamentare in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera evidenziando che, “sempre più spesso il padre o la madre di una legge restano fuori dai programmi Rai, dove vengono invitati altri colleghi, spesso bellissime ragazze: premia il valore estetico, non i contenuti”.

Musica per il network dell’Appello Donne e Media , con il quale dal 2009 abbiamo mobilitato migliaia di persone sulla rimozione degli stereotipi riduttivi che ancora affliggono la nostra (sub)cultura, soprattutto audiovisiva e pubblicitaria. Con la mobilitazione massiccia, ratificata dalla campagna web del quotidiano key4biz, siamo riusciti a far approvare la prima riforma di genere proprio della tv pubblica. Abbiamo elaborato 13 articoli per una policy di genere, approvati nel 2011 e tutt’ora vigenti nel Contratto nazionale di servizio che sancisce gli obblighi dell’azienda Rai in quanto concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo: una tv che deve essere diversa da quella commerciale, perché i cittadini pagano un canone non dovuto alle altre tv.

Lo slancio iniziale c’è stato da parte di Rai che, bisogna riconoscere, si è assunta l’onere di impegnarsi con il governo e soprattutto con le italiane e gli italiani a un’offerta rispettosa della dignità umana, culturale e professionale delle donne, come detta uno dei nostri articoli nell’oggetto del contratto (art.2-comm3). Pensate, care lettrici e lettori, che Rai si era impegnata anche a valorizzare la rappresentazione reale e non stereotipata della molteplicità di ruoli svolti dalle donne, anche nelle fasce di maggior ascolto, promuovendo – tra l’altro – seminari interni al fine di evitare una distorta rappresentazione della figura femminile, con risorse interne ed esterne, anche in base a indicazioni provenienti dalle categorie professionali interessate. L’abbiamo vista questa valorizzazione? E questi seminari? Onestamente, no.

Anzaldi evidenzia come “abbia ragione l’Osservatore Romano: con la scusa delloshare la Rai è fuori controllo; i politici ospiti nei talk show, soprattutto donne, spesso vengono scelti solo in base a canoni estetici”. Ci permettiamo di allargare la questione oltre i talk show: il problema è un atteggiamento culturale diffuso, per il quale oramai la competenza conta meno dei boccoli o di un bel corpo femminile esposto con generosità su tacco 12. Se ciò diventa una conditio sine qua non, c’è da chiedersi quale libertà di scelta rimanga alle donne per farsi ascoltare, pur essendo preparate su determinati dossier?

“Anche i maschi vengono penalizzati”, sottolinea Anzaldi, con la stessa logica delloshare che preferisce avere in studio parlamentari giovani e carine. Attenzione però al pericolo di una doppia discriminazione, perché il terreno è assai scivoloso per quel che concerne le donne. Basti leggere gli ultimi dati raccolti dall’Osservatorio di Pavia, per accorgersi che l’Italia continua a essere il fanalino di coda per presenza delle donne nelle news nel 2014, con solo il 24% (1 punto in meno rispetto al 2013), rispetto al 29% della media europea, nonostante la più elevata quota europea di giornaliste, il 55% delle reporter/autrici. L’Osservatorio inoltre rileva una forte asimmetria tra la qualità delle donne presenti in tv, relegate perlopiù al ruolo di fonti comuni o anonime, e quella degli uomini, interpellati in qualità di fonti autorevoli e prestigiose. Troppo spesso, purtroppo, le donne continuano a far notizia perché vittime di violenza.

n-RAI-large Dunque la materia è assai delicata e occorre cogliere con molta attenzione l’allarme lanciato da Anzaldi: è vero, bisogna spezzare il legame tra audience e canoni estetici, esattamente come nell’appello che lanciammo nel 2009, proprio su Rainews24, solo la bellezza fa audience? Ma per spezzare questo legame, che schiaccia al ribasso tutta la società, occorre un grande slancio culturale e politico in grado di rimettere al centro dell’attenzione il merito: solo puntando con forza sul valore del merito che ciascuno può mettere in campo, potremo sciogliere questo scellerato legame che affligge le scelte di troppa produzione audiovisiva e pubblicitaria, contaminando ovviamente anche il web. Con quali convinzioni e quali valori ci presentiamo oggi nel complesso confronto culturale che l’immigrazione ci pone innanzi? Quali canoni possiamo offrire per definire il valore della femminilità?

Anzaldi fa esplicito riferimento all’audizione del 17 dicembre 2013 di una rappresentanza dell’Appello Donne e Media, tra cui la sottoscritta promotrice ed Elisa Manna del Censis, durante la quale abbiamo argomentato al presidente, Roberto Fico, e ai membri della commissione, Anzaldi compreso, l’urgenza di un cambio di passo culturale, sociale e politico, e abbiamo proposto ulteriori emendamenti integrativi rispetto al testo che già proponemmo nel 2010 in Commissione.

Giova ricordarlo, tra gli articoli che abbiamo già introdotto fra i doveri primari della Rai, il più forte è sicuramente quello che riguarda l’offerta televisiva, vale a dire i programmi considerati di servizio pubblico, quelli che, per intenderci, fanno la differenza rispetto alle tv commerciali: pensate, la nostra tv nazionale si è impegnata dal 2011 (art 9-comma b) a programmare trasmissioni idonee a comunicare al pubblico una più completa e realistica rappresentazione del ruolo che le donne svolgono nella vita sociale, culturale, economica del Paese, nelle istituzioni e nella famiglia, valorizzandone le opportunità, l’impegno ed i successi conseguiti nei diversi settori, in adempimento dei principi costituzionali. Se questo impegno fosse stato realizzato, forse il servizio pubblico avrebbe rinunciato alla logica dell’estetica a favore della competenza. È e rimane un impegno importante, la cui attuazione darebbe nuovo slancio culturale al sevizio pubblico, caratterizzandone la peculiarità rispetto ai network commerciali.

Ma purtroppo occorre anche prendere atto che, dopo questo impegno iniziale, a poco o nulla sono valsi tutti i nostri sforzi affinché nella programmazione, il cuore della questione per intenderci, Rai mettesse in campo tali trasmissioni, sperimentando nuovi linguaggi, puntando i riflettori degli studi televisivi e delle produzioni su merito e competenza. Occorre anche domandarsi perché il Contratto di servizio, che pur ha valor di legge, non venga attuato. La Commissione di Vigilanza non dovrebbe anche verificare che ciò accada? Come sollecitato da Anzaldi al Pd, il suo stesso partito, occorre ribaltare le priorità: prima la competenza, poi l’estetica.

Da quest’anno il canone si pagherà direttamente con la bolletta elettrica. Nuove risorse, almeno in parte, si presume andranno alla tv pubblica. Sarà un’occasione straordinaria affinché la politica in primis, le istituzioni, la Rai, e di riflesso i media in generale, la società tutta con le sue diverse rappresentanze associative e professionali, stringano un’alleanza, un patto di azioni per un cambio di paradigma: più creatività e selezione per essere accattivanti puntando su merito e competenza. La sfida per una nuova cultura nei media, a partire dalla Rai, è aperta e le forze in campo ci sono.

 

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